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Privacy

Modelli Linguistici di Grandi Dimensioni (LLM): rischi privacy e contromisure secondo l’EDPB

1. Origine e finalità del documento

Il Comitato europeo per la protezione dei dati (EDPB), nell’ambito del programma Support Pool of Experts (SPE), ha pubblicato il rapporto “AI Privacy Risks & Mitigations – Large Language Models (LLMs)” (aprile 2025). Il testo – predisposto dall’esperta Isabel Barberá – offre una metodologia di risk management e un repertorio di misure tecniche, organizzative e contrattuali per governare i rischi privacy insiti nei LLM, accompagnati da tre casi d’uso esemplificativi (chatbot di customer care, tutor digitale, assistente di viaggio).

2. Struttura del rapporto

Il documento (oltre 100 pagine) è articolato in dieci capitoli che coprono: guida alla lettura, background tecnologico, mappatura dei flussi di dati, fasi del risk assessment (identificazione, stima, valutazione, controllo, rischio residuo), monitoraggio continuo, casi d’uso pratici e toolkit normativi.

3. Metodologia proposta

Il framework ricalca la logica dei principi di privacy by design & by default (art. 25 GDPR), dei requisiti di sicurezza (art. 32) e integra (senza sostituire) la DPIA (art. 35). Il processo è ciclico:

Identificare i rischi lungo l’intero ciclo di vita del LLM.

Stimare probabilità e gravità tramite metriche oggettive.

Trattare il rischio con misure adeguate.

Valutare il rischio residuo e riesaminarlo periodicamente.

4. Principali rischi evidenziati

Raccolta dati: dataset opachi, presenza di categorie particolari di dati.

Addestramento/finetuning: overfitting, leakage, bias.

Inferenza: “hallucination” di dati personali, risposte discriminatorie, difficoltà nell’esercizio dei diritti.

Feedback loop: memorizzazione delle interazioni utente senza adeguate garanzie.

Integrazione agentica: trasferimento di dati sensibili verso applicazioni terze con catene decisionali poco trasparenti.

5. Misure di mitigazione consigliate 

Il rapporto dedica un’intera sezione a suggerire misure di contenimento «a tre livelli» – tecnico, organizzativo e contrattuale – che devono essere combinate secondo un approccio defenceindepth:

Livello tecnico (hard controls)

Igiene dei dataset: filtraggio e anonimizzazione preventiva delle fonti di addestramento; eliminazione di identificatori diretti e metadati superflui.

Privacypreserving training: uso di tecniche di parameterefficient finetuning (PEFT) che toccano solo una frazione dei pesi, riducendo il rischio di “memorizzazione” di dati personali; applicazione di differential privacy o di noise injection per impedire la ricostruzione inversa delle informazioni.

RetrievalAugmented Generation (RAG): anziché “fissare” la conoscenza nel modello, si richiama in tempo reale da un database indicizzato e versionato; ciò agevola correzioni, diritto all’oblio e aggiornamento dei contenuti.

Output & prompt filtering: sistemi di NamedEntity Recognition o classificatori semantici che impediscono sia l’inserimento di dati sensibili nei prompt sia la rigenerazione di dati personali nei risultati.

Redteaming continuo: test avversariali periodici, con logging minimizzato e metriche di “data leakage” per misurare l’efficacia delle contromisure.

Livello organizzativo (soft controls)

Policy interne sull’uso degli LLM: istruzioni chiare su cosa può essere copiato nei prompt, chi può accedere alle API e come configurare parametri di temperatura / context window.

Aggiornamento della DPIA ad ogni modifica architetturale o funzionale (integrazione di agenti, migrazione SaaS, nuovi connettori).

Formazione del personale: dal customer service al marketing, tutti devono conoscere i rischi di immissione involontaria di dati personali e l’esistenza di filtri; la formazione va documentata ai fini dell’accountability.

Coinvolgimento del DPO fin dalle fasi di selezione e proofofconcept, con verifiche exante sulla base giuridica, sui tempi di retention e sulle clausole contrattuali con il provider.

Livello contrattuale (shared controls)

Accordi su ruoli e responsabilità: Data Processing Agreement ex art. 28 se il provider è processor, JointController Agreement ex art. 26 se condivide finalità autonome (caso tipico dei modelli “LLMasaService”).

Clausole di audit & certification: diritto di ispezione del deployer, obbligo del provider di mantenere certificazioni (ISO 27001, ISO/IEC 42001, SOC 2) e di notificare incidenti di sicurezza.

Gestione dei log e del finetuning: limiti espliciti sul riuso delle conversazioni per migliorare il modello; opzione di optout o di anonimizzazione sistematica dei prompt.

6. Implicazioni pratiche per imprese e pubbliche amministrazioni.

Compliance by design. L’integrazione di un LLM non può più essere trattata come “funzionalità IT” ma come processo di trattamento dati ad alto rischio: ciò attiva l’obbligo quasi sistematico di DPIA e di revisione dei registri ex art. 30 GDPR. Dal primo sandbox test occorre valutare base giuridica, finalità, limiti di conservazione e modalità di esercizio dei diritti.

Ruoli e governance multilayer. Lo stesso sistema può veder coesistere provider (sviluppatore del modello), deployer (integratore) ed end user. La linea di demarcazione dei ruoli – controller, processor, joint controller – è variabile e deve riflettersi in:

mappatura dei data flow;

raffinata servicelevel matrix (chi conserva, chi cancella, chi risponde ai data subject);

accordi contrattuali con allocazione di responsabilità (art. 26 – 28) e canali di coordinamento in caso di data breach o esercizio dei diritti.

Incontro tra GDPR e AI Act. Il rapporto anticipa l’approccio del futuro AI Act: il deployer di un sistema LLMbased potrebbe avere obblighi di monitoraggio, accuratezza e tracciabilità (artt. 2829 AI Act) distinti da quelli GDPR. In pratica:

adottare risk assessment unificati che coprano sia privacy sia safety/robustness;

predisporre eventlogging e humanoversight;

mantenere techdocs riutilizzabili in più procedure ispettive (DPA, autorità AI, certificazione di cybersecurity).

Accountability continua. Il concetto di “rischio residuo” impone un registro dei rischi vivo, con owner identificati, scadenze di revisione e KPIs (tasso di leakage, numero di richieste di cancellazione, esiti del redteaming). Rientra in questa logica anche l’adozione di metriche di trasparenza (documentazione dei dataset, prove di model unlearning) che potranno diventare requisito di mercato per bandi pubblici o per partnership B2B.

Conseguenze economiche e reputazionali. La non conformità non espone solo a sanzioni (fino a 4% del fatturato per violazioni GDPR o a divieti di messa sul mercato ex AI Act), ma anche a rischi reputazionali: fuga di dati sensibili generata da un chatbot può erodere rapidamente la fiducia di utenti, stakeholder e mercati finanziari. Le aziende lungimiranti stanno quindi trasformando la privacy governance in leva competitiva, inserendola nei propri criteri ESG.

7. Conclusioni

Il rapporto dell’EDPB rappresenta la prima bussola europea che traduce in prassi operativa i principi del GDPR (e del nascente AI Act) applicati all’era dell’IA generativa. Il messaggio è netto: innovazione e tutela dei diritti fondamentali devono procedere di pari passo. Chi adotta LLM senza un sistema robusto di governance rischia non solo di incorrere in sanzioni, ma di perdere il capitale più prezioso nell’economia dei dati: la fiducia.

Per approfondire: AI Privacy Risks & Mitigations – Large Language Models (LLMs), EDPB, 2025

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